mercoledì 7 luglio 2010

Scritto in fretta e furia prima che la pigrizia inghiotta la mia sconquassata ambizione.














Mille anni fa ho letto in qualche edizione economica di grandi autori che non si deve scrivere una cosa quando la cosa ti è appena successa. Ecco perchè a parlarvi, in verità, non è il mio cervello, ma sono il mio mal di schiena, i miei bronchi
infiammati e i fiotti di acido lattico-misto-caffè che scorrono ora al posto del sangue. Quello, il sangue, l' ho dovuto sputare quasi tutto. Poteva sembrare pommarola sopra un disco di pasta, ma era il mio sangue. Sono una pizza-machine!

Ho mangiato una insalata con pane e formaggio e adesso devo placare i conati di rifiuto del mio stomaco abituato, ormai da giorni, solo a liquidi con basso contenuto di acqua.

Faccio una pausa.

Martellare sulla tastiera è doloroso.
Per via delle piccole ferite intorno alle unghie.

Non dormo da una settimana. E' un' insonnia forzata. Si chiama festa di São João.

Mi chiedo quali siano i sintomi della morte per stanchezza.
Ho lavorato così tanto che tutte quelle banconote gialle, verdi e azzurre ordinate nel cassetto non mi interessano più. Sto avendo visioni e pensieri illuminanti sulla mia vita, per via dell' esaurimento delle normali forze che tengono insieme, come una calamita, la mia persona: sono a pezzi e così posso vedere meglio di cosa sono fatto.
Si, l' ho fatto per i soldi. L' anno scorso era diverso, non avevamo nessuna buona idea sul come guadagnare, per pagare tutte quelle cose utili e futili che completano un' esistenza distratta, sapete di che parlo. Come facevamo a vivere, solo 15 anni fa, senza una connessione? O senza un cellulare? Conoscete ancora qualcuno senza la televisione? O senza il sugo pronto o i prodotti dell' equosolidale, che non abbia 20 paia di scarpe e centinaia di maglie e maglioni, che non desidera una nuova macchina o la commessa della benetton. Come si può resistere al fascino di un iPod, o di una rinoplastica, depilazione, sbiancamento dei denti, cocaina e ashish il finesettimana per allentare la pressione, il bar, il pub, il centro commerciale, il negozietto, le vacanze, le diete, le lezioni di chitarra, il kit di coltelli che non dovrai mai più affilare, migliaia di foto digitali che non avrai mai il tempo di guardare, lo yoga, il digitale terrestre, il mutuo, sapete di che parlo.
Qui in Brasile voliamo più basso, ma siamo sulla stessa scia, stiamo arrivando. Poi io ho la scusa dei figli, della salute, dell' educazione, tutte cose necessarie, tutte cose care, ho liste infinite di cose che ci servono, di cose che potrebbero servirci, di cose che so già ci seppelliranno.
Farsi il culo per guadagnare soldi per un giorno non farsi più il culo. Da ridere.
Da piangere.
E se smettessi?
Guardate come sono ridotto: ho la schiena che sembra un rosario di ossibuchi, dolori invisibili alle articolazioni, tagli e bruciature, occhi pesti, tempie bollenti e lo spirito spalmato su un ettaro di disperazione.
Chi mi ha reso così triste è stata una ragazza. No, non è una storia d' amore non corrisposto, in fondo ho quasi 40 anni, e sono così fesso da credere di non essere così fesso da soffrire per amore. Questa ragazza di cui vi parlo è la morte.
La morte dell' umanità. Della mia umanità. Non sono più un uomo, vi ripeto che sono una pizza-machine!
Che fine del cazzo. Che eroe idiota: il pizzaiolo più veloce del nord-est!
Ma nonostante lo sforzo atletico-olimpionico le richieste mi hanno sotterrato, la chilometrica fila dei clienti irradiava un' energia maledetta che mi ha a poco a poco annichilito, annullato. Stiamo sgobbando da 4 giorni senza quasi dormire. Si lavora dalle 9 del mattino alle 5 del mattino successivo, con un servizio di pizzeria che dura 10 ore ininterrotte. Senza contare le due settimane di preparazione
prima della festa. Senza volervi annoiare col mio invalidantissimo mal di schiena iniziato una settimana fa. Sorvolando sui miei due figli malati, sul fatto che il più grande Gil ha iniziato ad avere un piccolo attacco d' asma poco prima che noi uscissimo. Siamo al penultimo giorno. Ma ancora non vediamo la fine del tunnel. Stasera, dopo le prime 6 ore a questo ritmo la voglia era di uscire dal mio ruolo-lavoro, e mandare tutti quei pazzi in fila (per un pezzetto di pasta fermentata-con-pomodoro-mozzarella) a farsi un giro, vedere altre cose, adorare altri cibi, ballare con donne ubriache che il giorno dopo si fingerà non riconoscere, farsi una pisciata in qualche angolo oscuro, osservare la luna piena sparire e riapparire al passaggio di nuvole scure, ascoltare il suono di migliaia di bandierine colorate sbatacchiate dal vento, bere liquori dolcissimi di ignota provenienza da bottiglie riciclate, fare la spola da un palco all' altro per capire che le 6-7 bande suonano gli stessi 20 pezzi-tipici di forrò di sao joao, lanciare bombe artigianali vicino ai falò di legna ammuffita, rompere un tacco sul ciotolato della piazza del
mercato, guardare la quadriglia dei ragazzi della scuola media, improvvisare un trenino intorno al palo della cuccagna, insomma fare quelle cose che si fanno ad una festa di bifolchi e borghesi nel 2010 nell' interno dello stato di Bahia, cose che non siano farsi un'ora di fila per una cazzo di fetta di pizza! Andate via! Io vi libererò dal male che vi consuma la ragione! Andate via! Sparpagliatevi! Tornate quando il vostro giudizio sarà lucido come il mio! La vita è corta, e sembra anche non abbia senso, non peggiorate le cose! Andate via! Andate in pace!
Nella mia immaginazione tipo realtà parallela di cose che potenzialmente succedono, sono trasformato in un messia che si rifiuta di dare il proprio corpo (l'ostia-pizza) e il proprio sangue (la pommarola) alla mandria di fedeli ottenebrati dal magnetismo incontrollabile di una fila, dal vizio di mettersi dietro ad un supposto collega di sfighe, di accodarsi ad un sogno.
Apro le braccia e mentre una luce tipo raggio-succhiante-ufo mi illumina e il vento solleva il cespuglio dei miei capelli, le prime fedeli cominciano a piangere gridando "Io non volevo fare la fila, è stata un' idea sua" indicando il bifolco-borghese-simil-fidanzato che con sguardo bovino continua a non capire. Ma capirà. Capirà e mi abbraccerà, e mi chiederà scusa per aver creduto di poter comandare le mie azioni, di poter comprare il mio tempo con un pò di banconote del monopoli.
E invece non faccio niente. Continuo ad aprire dischi di pasta. Mestolata di pomodoro. Mozzarella. Fette di calabresa. Infornare. Girare. Rigirare. Sfornare. Guardare la fila con lo sguardo vuoto del condannato. Ed è lì che la vedo.
Non è una visione, la guardo meglio, questa creatura bassina e bruttina nonostante tutti gli artifici cosmetici e tessili per sembrare carina, capelli corti incollati alla fronte, faccia larga, una bocca convenzionale con rossetto, sciarpa nera per nascondere l'assenza del collo, spalle all'altezza delle orecchie, cappottino nero troppo stretto e manina con anelli che vibra per chiamare la mia attenzione. Proprio così, mi vuole dire qualcosa. Si trova a un 15 metri di corpi su fila doppia di distanza, e mi fa così colla manina. Mi giro e rimango immobile per metterla a fuoco. Un presentimento sbaglaito si fa strada nel mio cuore. Che qualcuno abbia avuto pena di me? Della fottuta pizza-machine dagli occhi buoni? Adesso che ha capito di avere la mia attenzione, smette di sventolare la manina bianca e muove le labbra velocemente. Impossibile sentire a meno di 30 cm di distanza per via della musica. Una banda fondata 20 giorni fa stà tentando di suonare "asa branca". Io le faccio "O QUE?" e metto la mano a conca dietro l' orecchio. Stringo gli occhi
pronto a leggere il labbiale. "Tomate seco com rucola, tomatesecocomrucola, tomatesecomrucola" ripete in loop e mi fa ok col pollice, alla Fonzi.

"Pomodori secchi con rucola" traduce in automatico il mio incredulo cervello.

Questa essera mi vuole comunicare il suo ordine.

Sprofondo in un abisso senza speranza.

Il genere umano merita l'estinzione. Al più presto mi farò sterilizzare. Rimango stordito per qualche secondo, poi un sorriso isterico mi intorta la faccia. Giro una pizza. Tiro fuori l' altra. Scuoto la testa e comincio a ridere. Mi viene in mente una frase dei Beatles modificata per l'occasione "strowberry fields, nothing is real", "campi di pizza, niente è reale" e un' altra del comico Bill Hicks "la vita è solo un giro di giostra".
Di colpo un fulmine lascia tutto chiaro!
Prendo un braccio di Luisa e le faccio fare un giro di 180 gradi. Le dico all' orecchio. Andiamo via. Lasciamoli tutti qui. Si mette a ridere e da il resto a un tipo alto con gli occhiali. Insisto e le dico di finire gli ordini e chiudere e che domani non apriamo. Domani non apro! Il vento quasi butta giù una baracca di fianco alla nostra. Domani non lavoro! L' asteroide che caricavo sulle spalle si vaporizza.
Domani non faccio un cazzo! Le gambe si fanno leggere. Domani me ne stò tutta la mattina a letto coi miei figli, a irrorarli di sciroppo per la tosse e prendere la temperatura ogni 30 minuti, cartoni animati e disegni con gessi di cera masticati. Sono Dio! Ho il potere di creare vite parallele!
Ah! Patetici zombi che elemosinate la salvezza dell' anima-stomaco-panza, voi non esistete. Ah! I vostri soldi non esistono, e il vostro potere d' acquisto si trasformerà nella disperazione di capire che il sapore dei soldi è quello di carta igenica infestata di batteri! FANCULS!

Sono di nuovo un uomo libero!

A fare le spese di questa mia nuova disposizione di spirito è una somara coi capelli stile bambola nord-americana. Sta dicendo a Luisa che la sua fetta di pizza è
più piccola di quella venduta al suo vicino. Luisa ironizza e risponde che in verità la sua è normale, è quella del vicino ad essere troppo grande.
Essendo una stupida non capisce e continua a lamentarsi e dice cose tipo "gne gne gne". Un nuovo fascio di luce fiammeggiante mi illumina, questa volta viene dal basso e non sono gli ufo. E' satana che mi fa ok col pollice, mettendo ali al mio eloquente "D-I-O B-O-I-A" e continuo in portoghese con cose tipo questo non è un fast-food, e guarda come sono ridotto, non te l' ha ordinato il dottore di metterti in fila, e che io pregherò perchè recuperi presto il buon senso. Agli occhi di tutti lei adesso è una scema, perchè continua a dire "bla bla bla". Luisa irritata prende un' altra fetta di pizza al prosciutto e gliela da.
La somara-viziata-orgogliona dice che adesso non la vuole più di prosciutto ma la vuole di calabresa. Luisa pensa "col cazzo bella!" e dice "no, te l' ho già scaldata". Ella insiste ottusa. E Luisa con un sospiro di sollievo le dice "allora rimani senza", le restituisce i 3 reais e dice "puoi andare".
La stupida-immatura-spaccamaroni è incredula e immobile. Satana mi suggerisce di dire "Ooo! qual'è la parte del PUOI ANDARE che non hai capito?".
Ella tenta un fiacchissimo "maleducati, si vede che non avete bisogno di lavorare". Io chiudo la storia coll' indice ammonitore puntato sopra la testa vuota di lady-fettina e dico "Noi non siamo figli di 3 reais!"
L' applauso di circa mille persone è partito al momento giusto. E anche se era del pubblico di un tizio vestito da vacchero su un palco a 100 metri da noi, me lo sono gustato.

Nota 1.
Dovete sapere che i lavori umili o comunque manuali qui in Brasile non sono valorizzati. Vengono considerati di seconda o terza classe. Camerieri, muratori, babysitter, donne delle pulizie, operai, braccianti, cassieri, volantinatori, commessi, cuochi, pizzaioli, autisti, spazzini, eccetera. Tutte figure professionali inferiori. Gente che non ha studiato. Gente da mettere sotto i piedi. Sono i diretti discendenti degli schiavi negri e indios della storia brasiliana. Quindi la frase della ragazza stronza "si vede che non avete bisogno di lavorare" racchiude proprio questo pensiero "che chi ha bisogno di lavorare si sottomette a tutto e manda giù i rospazzi col sorriso", è la cultura schiavista che qui, nel nord-est in particolare, è ancora molto viva. Un professore dell' università di Rio de Janeiro ha pubblicato uno studio sull' invisibilità di certe figure sociali: dava lezione di mattina e per 6 mesi, tutti i pomeriggi, ha vestito i panni dell ' uomo delle pulizie nei corridoi della sua scuola. Risultato che nessuno tra colleghi e studenti l' ha riconsciuto.
Io la chiamo Sindrome di Superman, che quando si toglie gli occhiali nessuno lo riconosce più.
Per noi la prova è stata Luciana, sorella di Luisa. Ci ha aiutato l' ultimo giorno, nei panni della cassiera, prendeva l' ordine e dava il resto. La sua professoressa di medicina le ha detto "buonasera, una al prosciutto e due ai 4 formaggi", ha preso il resto e se n'è andata senza riconoscerla. Luciana ha detto che fa lezione con lei tutte le settimane da tre anni: Sindrome di Wonderwoman.

Nota 2.
La festa di São João (San Giovanni) è la più importante festa dell' interno nordestino. La parola "interior" (interno) non significa solo entroterra, serve in realtà a identificare tutto ciò che non è grande città, quindi anche se si trova sulla costa può chiamarsi interno. E' ovvio che la cultura passata è più preservata in queste aree geografiche, che per via dell' isolamento mantengono alcuni prodotti tipici e abitudini umane, non esasperate. Una grande città come San Paolo, o Rio o Salvador, differiscono pochissimo, e sotto certi aspetti somigliano a una qualunque grande città occidentale. Lo stereotipo dell' interno nordestino è un posto semiarido, polveroso, con cactus e urubù (avvoltoi), estensioni enormi di caatinga (vegetazione bassa, fatta di arbusti, cactus e bromelie), vacche magre in pascoli secchi. Le città (di solito con poche migliaia o centinaia di persone) sono fatte di povere costruzioni di forattoni senza intonaco, qualche volta c'è un centro storico in stile coloniale, raramente questo centro è "tombado", cioè preservato, come nel caso di Mucugè. Per questo dall'estrazione di diamanti del secolo passato, è passata all' estrazione dei turisti.
La festa popolare una volta (fino a 10-15 anni fa) si svolgeva per le vie della città e nelle case dei cittadini, che rimanevano aperte tutta la notte. Le famiglie offrivano mais bollito o arrostito, arachidi, dolci di mais, arance e liquori a base di frutta e cachaça. La musica tipica del Sao Joao è il forrò (che si pronuncia fohò), una specie di mazurka, suonata con sanfona o accordeon (fisarmonica), zabumba (tamburo) e triangolo. Il più grande compositore di forrò (nonchè inventore) è stato il geniale Luiz Gonzaga. Luiz Gonzaga stà al forrò come Bob Marley sta al reggea.